La storia nel piatto: pizza fritta e babà

Prendete un piatto tipico napoletano, ovvero la pizza fritta, servitelo in tre versioni differenti, abbinatelo ai vini dei Feudi di San Gregorio e culminate il pranzo o la cena con il babà (in quattro versioni differenti): avrete sicuramente successo!
E’ quello che ha fatto Enzo Coccia lunedì 23 maggio presso il suo locale di recente apertura “‘O sfizio d”a ntizia” (Napoli), in occasione dell’evento “Pizza fritta & Babà – Assaggiamo la storia di Napoli” (organizzato dal Molino Dallagiovanna, in collaborazione con la giornalista Laura Gambacorta) durante il quale il professore Fabrizio Mangoni, profondo conoscitore della storia della pasticceria napoletana e delle tradizioni gastronomiche partenopee, ha condotto gli ospiti alla scoperta delle origini della pizza fritta e del babà. Ben sei gli artigiani del gusto in azione durante la serata: due assi della pizza (Enzo Coccia ed Eduardo Ore), e quattro re della pasticceria (Sal De Riso, Ciro Scarpato, Salvatore Capparelli e Francesco Guida). Hanno accompagnato sia le pizze che i babà i vini dell’azienda irpina Feudi di San Gregorio presente con DUBL Esse, DUBL Rosato e Privilegio Irpinia Fiano Passito DOC. Partner per l’acqua l’azienda Ferrarelle.

Il Molino Dallagiovanna
Il Molino Dallagiovanna vanta 184 anni di storia. Produce farine in modo tradizionale, è l’unico mulino che lava i grani in acqua: questa tecnica permette di ottenere un prodotto più puro, pulito, e allo stesso tempo meglio macinabile (l’umidità consente al grano di spaccarsi meglio in fase di macinatura). Altra particolarità del Molino consiste nel fatto che macina singolarmente i vari tipi di grani. La macinazione è lenta e a freddo, questo consente di preservare i gusti, i profumi, i sapori dei prodotti. Tra questi, la Napoletana, una farina specifica per i pizzaioli napoletani, un prodotto adatto sia per la pizza da forno che, soprattutto, per la pizza fritta, in quanto ha un indice di forza di circa 310 W.

‘mpustarelle
Abbiamo mangiato:
Murzillo con mortadella e pesto di pistacchio di Bronte

La “‘mpustarella” – spiega Edoardo Ore, tecnico del settore ricerca e sviluppo del Molino Dallagiovanna e “socio in creazioni” di Enzo Coccia – e nata da un’ispirazione di Enzo; è stata una sfida in quanto dovevamo andare incontro ai gusti dei pani del meridione, che hanno una crosta molto croccante, e che – per questo – a volte risultano un po’ fastidiosi al palato. Perciò abbiamo elaborato due impasti diversi, ottenendo poi un certo sviluppo“.

Le pizze fritte
Abbiamo mangiato:
Montanarina con piennolo, friggitelli del Vesuvio, pecorino romano e pepe nero
Pizza fritta con ricotta di bufala e cicoli artigianali
Pizza fritta con baccalà e scarola al vapore con capperi, pinoli, uva passa e olive nere di Gaeta

Nella cucina non conta l’atto di nascita, ma quello di residenza – spiega Fabrizio Mangoni -. La pizza fritta è un prodotto povero della cultura napoletana che nasce quasi sicuramente nell’immediato dopoguerra. La montanara veniva preparata sulle montagne della Campania. La pizza fritta con baccalà e scarola al vapore con capperi, pinoli, uva passa e olive nere di Gaeta (un vero e proprio trionfo del sapore!), che abbiamo mangiato questa sera, trae ispirazione da una ricetta di Ippolito Cavalcanti, antenato di Guido Cavalcanti, che in un suo libro del 1839 utilizzava questi ingredienti per farcire la pasta frolla“.

Il babà
Abbiamo mangiato:
Babà del ‘700 (di Francesco Guida)
Babà Savarin (di Sal de Riso)
Babà napoletano (di Salvatore Capparelli)
Babà napoletano al bergamotto (di Ciro Scarpato)

Il babà nasce a metà ‘700 – racconta Fabrizio Mangoni – in Lorena ad opera Stanislao Leszczyński, due volte re di Polonia, un uomo senza poteri che però creò un importante salotto illuminista. Durante una sfida con Voltaire, Stanislao si riservò il dolce e inventò il babà. E’ la deformazione di un dolce che si faceva in Alsazia, il ‘kuglof’: a differenza di quest’ultimo il lievito viene rotto più volte; il dolce viene arricchito con zafferano (questo profumo d’oriente determinò il nome del dolce, ovvero Alì Babà) e con uvetta di Smirne e di Corinto bagnata nel vino di Madeira (il fatto che l’uvetta venga preventivamente bagnata nel vino evita che questa catturi l’umidità del babà). Dato che il dolce era secco, tendeva ad indurirsi, perciò Stanislao provò a bagnarlo con il rum. Il babà passerà poi a una pasticceria francese durante la rivoluzione e a metà ‘800 Brillat-Savarin (autore della “Fisiologia del gusto”) conferisce la ricetta di un liquore ai fratelli Julienne che avevano una pasticceria e che utilizzarono questo liquore come condimento di una macedonia all’interno del babà. Il babà arriva a Napoli con Murat. Nella tradizione napoletana fino ad allora non c’era mai stato un dolce con il lievito, che era un prodotto della panetteria di campagna. Murat importa il vino, il formaggio, e tanto lievito di birra. Parla del babà (senza zafferano) il cuoco napoletano Angioletti nel ’36. Il babà a Napoli perde i canditi e diventa un assoluto di morbidezza perchè tutta la cultura napoletana è oppositiva alla cultura della campagna“. “Nel 2000 – conclude Mangoni -, con l’aiuto del pasticciere Ciro Scarpato, ho inventato un babà bagnato col bergamotto. Stanislao provò a bagnare il suo babà, ma non gli piacque, tanto è vero che lo bruciò. Ho trovato una ricetta del suo caramelliere che prevedeva l’utilizzo del bergamotto, che solo in Lorena si utilizzava in campo alimentare (altrove veniva utilizzato come profumo). Mi piace pensare che questa mia scelta poteva essere gradita a Stanislao...”.

’O Sfizio d’ ‘a Notizia
Via Michelangelo da Caravaggio, 49/51
Napoli
Tel. 081 7148325
Aperto solo la sera – Chiuso il lunedì

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